Yoga Space (X). Gli 8 limbi dello yogin

Stato Donna, 9 luglio 2022. Eccoci giunti finalmente al cuore di questa arte millenaria. L’ultima premessa intendere bene il senso del post di oggi è, che lo yogin, ovvero colui che pratica Yoga, è spesso oppure molto spesso, impegnato nella crescita personale, e sa condividerne i risultati benefici senza forma di egoismo.

Evitando di soffermarci sulla letteratura antica che costituisce le solide basi della disciplina in questione, se tra i lettori c’è chi non si è perso i post precedenti, voi siete ormai pronti a scoprire cosa rappresentano gli otto “limbi” di cui si è già accennato.

Non è esattamente né “regola”, né “precetto”, nessuna delle due parole può racchiudere il significato di tali “limbi”. Non si tratta infatti neanche di principi, sebbene abbiano delle caratteristiche che li avvicinano a ciascuna delle precedenti definizioni. Dunque, non ci resta che nominarli e spiegarli.

In cima alla lista ci sono gli Yamas. Tale termine si riferisce a cose da osservare/fare, ovvero ad azioni da compiere che sono estremamente connesse ai valori nostri più profondi, legati alle nostre emozioni.

Poi ci sono i Niyamas, che invece si riferiscono a cose/azioni da non fare. I Niyamas, sono legati alla nostra pratica personale, riferendosi essa sia a quella fisica che interiore, sul piano intimo e personale.

Il terzo è Pranayama, spesso tradotto come controllo del soffio vitale, ovvero la capacità sviluppata ed esercitata, di guidare il respiro, di usarlo per la salute del nostro corpo/casa e per tenere calma anche la mente.

I successivi sono legati al lavoro mentale. Il quarto è infatti Pratyahara, ovvero il ritirare i sensi dall’esterno e rivolgerne l’attenzione all’interno. Tale esercizio serve a sviluppare i seguenti limbi e per studiare bene se stessi durante concentrazione e meditazione.

Quindi Dharana, ovvero la concentrazione, che è quella sana e potente pratica di fare una cosa alla volta. Può sembrare uno scherzo, ma il risultato e la promanazione delle cose fatte una per volta, non solo produce risultati di ottima qualità, ma hanno anche una valenza ed un effetto che solo l’osservatore attento può notare e apprendere. Mi riservo di esporre meglio questo punto in altra sede.

Quindi, Dhyana ovvero la meditazione, lo stare fermi in una posizione e scoprire che fermi non si sta mai, osservare cosa succede dentro, scorgere l’arrivo dei pensieri e lasciarli andare senza alimentarli.

In fine, per lo yogin più zelante, si raggiunge lo stato di Samadhi, cioè l’assorbimento in una condizione di calma costante, di pace interiore in cui trovano posto tutti i sensi, le emozioni e le funzioni vitali ma in modo che non lascino tracce.

E delle tracce vi parlerò nel prossimo post…

 

Simona Caputo

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