Alessandra Matteuzzi, la donna nell’inferno del suo ex prima del femminicidio

Stato Donna, 27 agosto 2022. Alessandra Matteuzzi è la donna di 56 anni a cui, come emerge dall’autopsia, è stato sfondato il cranio a martellate dal suo ex compagno Giovanni Padovani sotto casa a Bologna. È morta due ore dopo per un’emorragia e per i molteplici colpi all’addome. Era al telefono con sua sorella, come la stessa ha detto ai cronisti subito dopo il femminicidio, e ha gridato aiuto.

Nella querela sporta il 29 luglio ai carabinieri, il cui contenuto è riportato dall’agenzia Ansa, la donna dice di essere controllata costantemente sui social dal compagno, oltre alle richieste continue di inviargli foto e video per dimostrare dove si trovava. Aveva scoperto, a febbraio, che le password dei suoi profili erano state tutte modificate. “Ho potuto constatare – raccontava – che erano state modificate sia le email che le password abbinate ai miei profili, sostituite con indirizzi di posta elettronica e password riconducibili a Padovani”.

Inoltre “ho rilevato anche che il mio profilo whatsapp era collegato a un servizio che consente di visualizzare da un altro dispositivo tutti i messaggi da me inviati. Ne ho quindi dedotto che nei giorni in cui era stato da me ospitato era riuscito a reperire tutte le mie email e le mie password che avevo memorizzato nel telefono”. Aveva avuto molti diverbi con lui e “ogni volta che ho accondisceso alle richieste di Padovani è stato per paura di scatenare la sua rabbia”.

La donna, aggiungeva, di aver sempre avuto paura di trovarselo davanti casa e tante volte è riuscito ad accedere al condominio. Il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato – di fronte alle polemiche innescate dai familiari per un fatto che non è stato un fulmine a ciel sereno- ha detto che in questo caso “non si può parlare di mala giustizia. La denuncia è stata accolta a fine luglio, il primo agosto è stata immediatamente iscritta e subito sono state attivate le indagini che non potevano concludersi prima del 29 agosto perché alcune persone da sentire erano in ferie. Noi quello che potevamo fare lo abbiamo fatto. Dalla denuncia della vittima non emergevano situazioni di rischio concreto di violenza, era la tipica condotta di stalkeraggio molesto”.

La cugina, Sonia Bartolini, avvocata, si occupa a abusi sulle donne e stalking, ha detto a repubblicabolgna.it: “Il paradosso è che un femminicidio adesso mi riguarda molto da vicino. Credo che la denuncia vada fatta ma che serva anche assistenza. Non si può mandare semplicemente una donna in caserma, deve essere accompagnata, supportata da una rete, dallo staff legale alla consulenza psicologica. Tanti professionisti devono fare cerchio attorno alla vittima. In modo tale che quando il persecutore viene a conoscenza della denuncia, non va a “caccia libera”, come ha fatto questo giocatore fallito. Una denuncia scatena ancora più violenza. Mi permetto di aggiungere un altro aspetto: nei tribunali servono sezioni specializzate, magistrati formati per arginare un dramma in aumento”.

 

 

 

 

Redazione

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