Colori di genere: ecco la storia (Freepik Foto) - www.statodonna.it
Nel XVIII secolo, il rosa era considerato un colore virile, legato alla forza e al potere, perché derivato dal rosso, tonalità simbolo dell’energia e della guerra.
Il blu, invece, evocava tranquillità e spiritualità, caratteristiche ritenute più adatte al mondo femminile. Nessuno si poneva il problema di associare un colore a un genere in modo rigido: uomini e donne indossavano indifferentemente entrambe le tonalità.
All’inizio del XX secolo, con l’avvento della moda infantile, il bianco era il colore più usato per i bambini, perché pratico da lavare e considerato neutro. Nei primi decenni del ‘900, i colori pastello cominciarono a essere utilizzati per differenziare maschi e femmine, ma senza una regola fissa. Anzi, nel 1927, il Time riportava che molti grandi magazzini americani suggerivano il rosa per i maschietti e l’azzurro per le femmine.
Fu solo dopo la Seconda guerra mondiale che si verificò un cambiamento radicale. Con il boom economico, la moda infantile si trasformò: i vestiti per bambini divennero versioni in miniatura di quelli per adulti, e il mercato impose una netta separazione tra maschi e femmine. Fu in questo contesto che Barbie fece la sua comparsa nel 1959, lanciata dalla Mattel con un’identità fortemente legata al rosa.
Barbie non fu la causa diretta di questa divisione cromatica, ma ne rafforzò l’immaginario. Il suo successo portò a una commercializzazione massiccia di prodotti per bambine tutti rigorosamente rosa, influenzando generazioni di consumatori e rendendo questo colore un simbolo indiscutibile della femminilità.
Negli anni ’60 e ’70, il movimento femminista tentò di scardinare questi stereotipi, rifiutando l’associazione tra rosa e femminile. In quegli anni, molte bambine venivano vestite con colori neutri o addirittura con abiti considerati più mascolini.
Tuttavia, la reazione dell’industria fu opposta: negli anni ’80, la distinzione tra rosa e azzurro si rafforzò ulteriormente, complice l’esplosione del marketing basato sul genere.
Solo negli ultimi anni si è iniziato a mettere in discussione questa rigida separazione. La moda ha riconsiderato il rosa come un colore universale, e sempre più uomini lo indossano senza preoccupazioni. Nel mondo dei giocattoli, alcune aziende hanno smesso di distinguere i prodotti in base al genere, promuovendo una maggiore libertà di scelta per i bambini.
Oggi il rosa sta vivendo una sorta di riscatto: non è più visto solo come un simbolo di femminilità, ma come un colore di espressione personale. Celebrità, stilisti e influencer contribuiscono a ridefinirlo come una tonalità forte e carismatica, capace di adattarsi a qualsiasi identità. Forse, tra qualche decennio, la distinzione tra colori di genere sarà solo un ricordo del passato. Il rosa tornerà a essere semplicemente un colore, libero da ogni etichetta culturale e pronto a essere indossato da chiunque lo scelga.
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