Addio genere umano: abbiamo la data dell’estinzione di massa | Iniziate a salutare i vostri cari

Illustrazione di una guerra nucleare (Depositphotos foto) - www.statodonna.it
La scienza conferma: anche l’Homo sapiens è destinato a scomparire, proprio come il 99,9% delle specie vissute sulla Terra.
C’è una domanda che, prima o poi, ci tocca tutti: e se un giorno l’umanità finisse? No, non è proprio il pensiero ideale per iniziare la giornata, ma ogni tanto riaffiora. Perché sotto sotto lo sappiamo: nessuna specie è immortale, nemmeno noi.
È solo che preferiamo non pensarci. Siamo qui da un bel po’, è vero, e ci sembra di essere in cima a tutto. Ma se ci fermiamo un attimo, ci accorgiamo che la nostra presenza sul pianeta è un’eccezione temporanea.
Tutto cambia, tutto si trasforma. Non c’è motivo per credere che saremo diversi da chi ci ha preceduto. Anzi. Abbiamo costruito città, mandato sonde su Marte, sviluppato intelligenze artificiali. Ma tutto questo non ci rende immuni. Non siamo intoccabili. La natura ha le sue leggi, e noi ne facciamo parte.
Il nostro destino è legato a quello dell’ecosistema che ci ospita – e non è detto che sia un legame eterno. Quello che possiamo fare, semmai, è provare a capire meglio la questione. Che cosa ci rende resistenti? E cosa, invece, ci mette a rischio?
Quello che ci insegna l’evoluzione
Secondo Nicholas R. Longrich, biologo evoluzionista, l’estinzione della nostra specie è un fatto certo. Lo ha scritto chiaramente in un saggio pubblicato su The Conversation, spiegando che oltre il 99,9% delle specie viventi che hanno abitato la Terra non esiste più. Alcune hanno lasciato eredi. Altre, come i trilobiti o i Neandertal, sono semplicemente sparite. E noi? Per ora ci siamo, ma non è detto che duri. Le cause possibili? Tante.
Il nostro corpo ha bisogno di molto cibo – siamo animali a sangue caldo e di grossa taglia – e quindi siamo sensibili a qualsiasi crisi nella catena alimentare. E poi ci riproduciamo lentamente: uno o due figli per coppia, il che rende difficile un recupero demografico in caso di crolli. Non siamo i più rapidi ad adattarci ai cambiamenti ambientali. C’è poi il tema della variabilità genetica. Come nota il biologo Henry Gee su Scientific American, nella popolazione umana c’è meno diversità genetica che in alcuni gruppi di scimpanzé. E questo non è un buon segno: una bassa variabilità rende più vulnerabili all’estinzione.

Un futuro già scritto
Ecco allora il punto: ci estingueremo, sì, ma nessuno può dire quando. Né Longrich né Gee forniscono una previsione temporale, ma sono concordi nel pensare che questo epilogo sia già in atto. È una questione di tempo, anche se quel tempo resta incerto.
Anzi, la domanda più sensata, oggi, non è nemmeno “quando succederà”, ma piuttosto: che cosa possiamo fare nel frattempo? Vogliamo solo sopravvivere o possiamo immaginare un modo migliore di abitare il mondo, finché ci saremo? Perché il conto alla rovescia non ha un orario, ma forse è già cominciato.