Ora potrete dire addio al TFR - StatoDonna.it (DepositPhoto)
Ora tutti gli italiani potranno dire addio al TFR. Non potrete più richiederlo e dovranno bastarvi i soldi dello stipendio: cosa succede.
Il TFR, vale a dire il Trattamento di Fine Rapporto, è una somma di denaro che il datore di lavoro riconosce al lavoratore dipendente al termine del rapporto di lavoro, qualunque sia la causa della cessazione. Si tratta di un diritto previsto dalla legge italiana per tutti i lavoratori del settore privato e rappresenta una forma di retribuzione differita, cioè maturata nel tempo ma liquidata solo alla fine del rapporto.
Nel concreto ogni anno il datore accantona una quota pari a circa il 7% della retribuzione lorda annuale del dipendente. Questo importo rivalutato annualmente in base a un tasso fisso più una percentuale variabile legata all’inflazione, viene conservato dall’azienda o può essere destinato a un fondo pensione integrativo, scelta che il lavoratore può effettuare nei primi sei mesi dall’assunzione.
La funzione principale del TFR è garantire una sorta di paracadute economico per il lavoratore, fornendogli una somma utile al termine della carriera o in caso di interruzione anticipata del lavoro. Tuttavia in alcuni casi specifici e ben regolamentati, il lavoratore può richiederne un anticipo anche durante il rapporto di lavoro, purché siano trascorsi almeno otto anni dalla sua assunzione.
Il TFR si distingue da altri strumenti di previdenza perché non è legato ai contributi versati all’INPS, ma è interamente a carico del datore di lavoro e resta di proprietà del lavoratore anche in caso di fallimento dell’azienda. Ora però il TFR sta per giungere al termine, scopriamo perché a breve non lo si potrà più richiedere.
Negli ultimi anni la sostenibilità del sistema pensionistico italiano è diventata una questione centrale nel dibattito politico. Secondo le proiezioni nel 2025 la spesa previdenziale supererà i 289 miliardi di euro, pari al 15,3% del PIL nazionale. Questo aumento è legato in gran parte all’invecchiamento della popolazione.
Entro il 2050 oltre un terzo dei cittadini italiani avrà più di 65 anni. Il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati continua ad assottigliarsi ed entro il 2070 l’indice di dipendenza degli anziani in Italia potrebbe superare il 65%, ben oltre la media europea. In questo contesto, la tenuta economica e sociale del sistema pensionistico appare sempre più compromessa.
Una delle proposte attualmente in discussione riguarda la gestione del TFR, il trattamento di fine rapporto, da parte dell’INPS. L’idea, sostenuta dal sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, prevede che i contributi maturati restino nelle casse dell’ente previdenziale invece di essere destinati ai fondi pensione integrativi. Questo permetterebbe di rafforzare la previdenza pubblica senza aumentare la pressione fiscale.
La proposta cambierebbe in modo significativo il rapporto tra lavoratori e TFR. Sebbene il diritto alla liquidazione rimarrebbe formalmente in capo al lavoratore, verrebbe meno la possibilità di richiederne anticipi per spese importanti, come l’acquisto della prima casa o le cure mediche. Il TFR diventerebbe un capitale vincolato, disponibile solo al momento del pensionamento. Una proposta che inevitabilmente solleva dubbi su quale ruolo debba avere il TFR.
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