“Vietato stressarsi a lavoro”: passato il ‘decreto’ allucinante | Lavorate 12 ore e non rompete

Una decisione che divide (canva.com) - www.statodonna.it
La Corte di Cassazione afferma che questo non costituisce vessazione: cosa stabilisce il Codice Civile e quali sono gli oneri del lavoratore.
Per la maggioranza del tempo lavorare è assolutamente terribile. Il carico di stanchezza che ti porti dalla sera prima; pensieri che non ti lasciano dormire…
Ancora peggio se tutto questo si protrae al proprio banco di scrivania e in ufficio. Sicuramente si può desumere che tutto lo stress possa derivare anche da condizioni che sono proprio lì presenti.
Varrebbe a dire che l’ambiente in cui si lavora , soprattutto in condizioni vessanti, potrebbe incidere fortemente sulla resa nonché sulla tranquillità psicologica del lavoratore.
In un periodo in cui il benessere lavorativo è un tema centrale nei dibattiti sociali e sindacali, una recente decisione della Cassazione pare stabilire nuovi limiti tra carico di lavoro e vessazioni desunte.
I limiti stabiliti
La Suprema Corte interviene per chiarire una distinzione fondamentale: essere stanchi non implica necessariamente essere maltrattati. Secondo le informazioni fornite da Qui Finanza, la Corte di Cassazione, tramite la sentenza 14890/2025 ha affermato che un carico di lavoro eccessivo non può essere, di per sé, considerato come mobbing. La scelta si basa su un caso specifico in cui un dipendente ha denunciato la propria impresa per aver imposto velocità e traguardi eccessivi, esprimendo una situazione di stress o molestia sul lavoro.
I magistrati hanno rigettato le accuse, chiarendo che l’istanza di aumentare la produttività da parte dell’azienda rientra nel corretto utilizzo dei poteri di direzione, organizzazione e supervisione stabiliti dagli articoli 2086 e 2104 del Codice Civile. Il datore di lavoro, secondo quanto stabilito dalla sentenza, può richiedere impegni anche notevoli a condizione che non siano disumani e che non ci sia un intento volontario di arrecare danno al dipendente.

Responsabilità ed equilibri
La Corte ha altresì precisato che la responsabilità grava sul lavoratore, il quale è tenuto a presentare prove tangibili del danno subito: è necessario dimostrare la reale nocività dell’ambiente lavorativo, un collegamento causale diretto con lo stress subito e un comportamento illecito da parte dell’azienda. Senza la presenza di tali elementi, un ambiente di lavoro difficile non può essere definito come persecutorio.
Secondo la fonte, la conoscenza del lavoratore riguardo l’intensità del lavoro, già presente al momento della sottoscrizione del contratto, ha escluso la responsabilità dell’azienda. La Corte di Cassazione ha dunque rigettato il ricorso, avallando le determinazioni dei magistrati di merito. Questa decisione è destinata a diventare un punto di riferimento: stabilisce che l’intensità del lavoro di per sé non rappresenta una violazione, ma riflette l’organizzazione e gli obiettivi aziendali, sottolineando tuttavia l’importanza di un giusto equilibrio tra produttività e protezione della salute psicofisica.