“Licenziato perché andava in PALESTRA”: da oggi un hobby può farti perdere il posto di lavoro | Nuova sentenza in Cassazione

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Licenziato perché in palestra

licenziato perché in palestra (Freepik Foto) - www.statodonna.it

Nel mondo del lavoro moderno, la linea che separa la vita professionale da quella privata è sempre più sfumata.

Ciò che un tempo apparteneva solo alla sfera personale oggi può, in determinate circostanze, influenzare anche il rapporto con il datore di lavoro. È un cambiamento silenzioso ma profondo, che sta modificando la percezione stessa di cosa significhi “comportamento corretto” fuori dall’ufficio.

Un tempo, il tempo libero era considerato inviolabile: ciò che un dipendente faceva fuori dall’orario di lavoro non aveva alcuna rilevanza giuridica. Oggi, però, con l’aumento dei controlli e delle tecnologie di monitoraggio, anche le abitudini quotidiane possono essere esaminate in caso di controversie.

Tra i casi che fanno discutere ci sono proprio quelli in cui un’attività innocua – come un hobby o una passione personale – finisce al centro di un procedimento disciplinare. L’idea che qualcosa di così normale possa avere conseguenze sul contratto di lavoro appare quasi surreale, eppure sta accadendo.

Una recente vicenda, riportata da Brocardi.it, ha riacceso il dibattito: la Cassazione si è trovata a giudicare una situazione in cui un dipendente, durante un periodo di malattia, aveva intrapreso un’attività fisica ritenuta incompatibile con il proprio stato di salute. (Fonte: Brocardi.it)

Quando un hobby diventa “comportamento rilevante”

Secondo quanto spiegato nell’articolo pubblicato da Brocardi.it, la Corte di Cassazione ha chiarito che non è tanto l’attività in sé a determinare la legittimità di un licenziamento, ma il rapporto tra l’attività svolta e la condizione fisica dichiarata. Se un lavoratore è in malattia per un disturbo che dovrebbe impedirgli di fare sforzi fisici, e viene invece sorpreso a svolgere un’attività sportiva intensa, il datore può considerare compromesso il vincolo di fiducia.

La Cassazione, in questa prospettiva, non giudica lo sport o l’hobby in sé, ma la coerenza tra la dichiarazione medica e il comportamento effettivo. È questa discrepanza, più che l’azione, a costituire un potenziale motivo di licenziamento. L’attività fisica, in altre parole, diventa un indizio di condotta contraddittoria rispetto allo stato di malattia, e può quindi configurare un’inadempienza disciplinare.

Uomini in palestra
Licenziato perché era andato in palestra, il caso (Freepik Foto) – www.statodonna.it

La lezione dietro la sentenza

La pronuncia non si traduce in un divieto di dedicarsi alle proprie passioni durante un periodo di malattia, ma invita alla prudenza e alla coerenza. Se un’attività sportiva, ad esempio, è compatibile con la patologia dichiarata o addirittura può agevolare il recupero, non ci sono gli estremi per una sanzione. Tuttavia, se le due cose risultano inconciliabili, il rischio disciplinare diventa concreto.

In sostanza, il messaggio della Cassazione è chiaro: la fiducia è un elemento cardine del rapporto di lavoro, e ogni condotta che possa metterla in dubbio rientra nel potere di valutazione del datore. Anche le azioni più ordinarie — come una sessione in palestra — possono assumere un valore giuridico imprevisto se inserite in un contesto incoerente. Un invito, quindi, a non sottovalutare mai il peso della coerenza tra ciò che si dichiara e ciò che si fa.