Riccardo e la “vergogna” per la mancata laurea. Nel segno di Aiace

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Stato Donna, 12 dicembre 2022. Difficile non trovare echi nel mondo antico per vicende di oggi. E quello che è accaduto al giovane Riccardo Faggin esiste dalla notte dei tempi. Gli studiosi di antropologia la definiscono “Cultura della Vergogna – Shame Culture”. Riccardo era un ragazzo di 26 anni iscritto al corso di laurea in Scienze Infermieristiche a Padova. Qualche giorno fa aveva confermato ai genitori che la laurea sarebbe stata per l’indomani. Tutto era già pronto per i festeggiamenti. Ma la sera precedente, con il pretesto di allentare la tensione, secondo quanto riferito dai suoi genitori, aveva preso la macchina per recarsi in un bar, dove però non è mai arrivato perché si è schiantato contro un albero, ponendo fine alla sua vita. Nessun segno di frenata su una strada ben conosciuta. Le foto della macchina distrutta sono impressionanti.

Si è fatta strada l’ipotesi di un gesto volontario. Non riusciva, si ipotizza, a spiegare ai suoi genitori che la laurea era una bugia. Con la quale non voleva rivelare di essere rimasto indietro con gli esami e con gli studi. Non sapeva come spiegare questo che evidentemente riteneva un fallimento. I genitori ora non sanno capacitarsi di non aver visto in tempo i segnali che sicuramente questo figlio aveva evidenziato e che spesso passano inosservati anche alle persone più attente. Soprattutto quando la fiducia è cieca e non si immagina lontanamente l’esistenza di un mondo di bugie.

È la vergogna, impossibile da sostenere, la causa della morte di uno splendido figlio, che amava prendersi cura degli altri e che come sogno aveva quello di visitare una terra lontana, il Giappone, al tempo primaverile della spettacolare fioritura dei ciliegi. La vergogna, si sa, ci appartiene; condiziona anche positivamente le nostre vite se serve a farci ritrovare una strada momentaneamente smarrita. Ma la vergogna possiede da sempre una seconda faccia funesta: quella che fa temere il giudizio della famiglia o della comunità di appartenenza. E proprio le comunità antiche erano spietate con chi non corrispondeva ai canoni che dettavano le regole della vita sociale. Canoni indubbiamente necessari nella storia umana di ogni insediamento che voglia affermare i suoi tratti distintivi e che voglia durare, ma spesso spietati. E chi veniva definito indegno vedeva materializzarsi la morte civile. Molti la anticipavano scegliendo la morte fisica. I

ll grande eroe Aiace– reo di aver sbagliato nel gesto di vendetta cui era tenuto, secondo il quale doveva vendicarsi degli Atridi che avevano assegnato le ambite armi di Achille ad Odisseo e non a lui – per errore riversa la sua furia su un gregge. Noi oggi avremmo anche detto ‘meno male!’, ma allora non funzionava così. Non puoi sgarrare nel codice dei comportamenti legati all’onore. E quell’onore conquistato in mille imprese lo devi mantenere sempre. Per evitare il discredito, le risate crudeli di amici e nemici,

Aiace si suicida con la sua stessa spada, compagna di tante imprese. La colpa non era sua, ma della follia che una dea gli aveva iniettato. Come oggi possiamo dire che Riccardo non aveva nessuna colpa se non era riuscito a seguire una rigida scaletta temporale nei suoi studi. Il tempo avrebbe potuto sistemare tante cose. Tuttavia, di fronte a questa faccia negativa della vergogna, l’innocenza interiore non aiuta. Non aiuta (lo vediamo quotidianamente) sui social le vittime di bullismo. Non aiuta chi è a vario titolo in difficoltà; chi viene deriso o teme di essere deriso o mal giudicato per qualche suo aspetto; chi ha paura di dare delusioni, di non corrispondere all’ideale che altri hanno di lui. Non esiste più il sollievo. Viene totalmente a mancare la gioia vivere.

Che fare? I genitori di Riccardo, disperati e a loro volta braccati da un fortissimo senso di colpa, chiedono pubblicamente ad ogni genitore di essere attenti, più di quanto abbiano fatto loro, e di non caricare di troppe aspettative i figli. Talvolta anche la percezione esasperata delle aspettative può creare disagio. Il disagio è dietro l’angolo, ad ogni età. Bisogna ammetterlo. Come pure bisogna avere la forza e il coraggio di fermarsi a controllare – per i figli si fa questo e altro – se un figlio rivela solo una giornata storta o indossa una maschera che ormai agisce autonomamente, inarrestabile. Non è facile il ruolo dei genitori e degli educatori. L’ascolto non si attua una volta per sempre, ma esige un negoziato quotidiano. È un lavoro difficile ma i fatti ci dicono che non si può tergiversare. Pena la perdita di altri figli.

Maria Teresa Perrino, 12 dicembre 2022