Premio Strega 2023: “Mi dispiace, dissento profondamente da scelta del vincitore”

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Non vedevo l’ora ieri sera, come ogni anno, di conoscere il vincitore di quello che, seppur con i suoi limiti, è il premio letterario più importante d’Italia, il Premio Strega.

Non nascondo il mio tifo per “Mi limitavo ad amare te” di Rosella Postorino, libro forte, coinvolgente, denso di umanità struggente, scritto benissimo, alternando personaggi, piani temporali. Con al centro il tema della crescita, del ruolo della madre, della guerra che resta dentro, delle vittime perenni. Di chi si salva, di chi salva altre vite e, di conseguenza, anche la propria.

Sarajevo, la guerra, le stragi, tutti convitati di pietra in un mondo che ha distrutto e distorto sogni, affetti, sentimenti. Un libro meraviglioso. Riflessivo e poetico, pur nella drammaticità del narrato.

Anche il libro di Maria Grazia Calandrone, rievoca la tematica dell’abbandono, della ricerca delle origini. Una storia di amore assoluto, e di riscatto. Da tanta, troppa, ingiusta sofferenza. Tutte potenti voci al femminile. Splendidi soli, come direbbe Hosseini.

Ebbene, mi dispiace, ma dissento fortemente, dalla scelta del libro vincitore “Come D’Aria” di Ada d’Adamo. Proprio in virtù del dolore e amore grande che c’è dietro quest’opera.

Per il rispetto alla memoria di colei che lo ha scritto, non avrei mai voluto che ci fosse l’ombra del “buonismo” e del “pietismo” alla base di una scelta, anziché il valore autentico e profondo dell’opera stessa.

Convinta come sono che, quando un testo esprime arte, bellezza, significato, ed è composto in modo stilisticamente pregevole, trova il suo posto, dove è giusto che sia, nel cuore dei lettori, al di là di premi e riconoscimenti, nel cuore e nella testa dei lettori, dove resta e crea germi di riflessione. Genera cammino e crescita. Nonché grande piacevolezza. Sì, anche questo, non nascondiamolo sempre.

Un libro deve essere ben scritto, piacevole, profondo e leggero, al tempo stesso. Vedi Cormac McCarthy, il genio di questo secolo, o anche lo stesso Umberto Eco.

Mi dispiace, ma questo eccesso di “verismo” che, a mio modesto parere, sta generando una sorta di apoteosi del dolore, di stampo narcisistico, francamente, disturba parecchio. In questo testo, che io non ho letto, e non ho intenzione di leggere per ora, credo che ci sia tragedia infinita.

Quasi che se la letteratura non è dolore, fino all’estremo, non abbia patente di nobiltà intellettuale.

Questo lo dice chi vive, come me, la disabilità e l’amore grande. So cosa si prova e si sente, in quelle carezze, in quel pensiero sofferto. Quindi, credo che, per rispetto all’arte, all’autrice, al messaggio che si volesse dare in questo romanzo, sarebbe stato necessario e doveroso lasciare al tempo, alla potenza della voce narrante, il giudizio sulla validità di questa scrittura.

Oltre l’ombra di un sospetto, l’alea fastidiosa del “politicamente corretto”, l’alibi assurdo della morte che cancella ogni difetto, polemica, critica. Una realtà culturale più matura e corretta, scevra da vincoli, stereotipi, mainstream, lontana da certe logiche di facciata, ma più attenta e sensibile al concetto perduto di Arte per l’Arte. Questo è ciò che mi piace e che vorrei. Poi, in ogni caso, viva i libri, sempre!

Concetta Melchionda, 7 luglio 2023